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mercoledì 13 luglio 2016

Namastè, mio "Grande Amico" SILVANO!


Molto importanti sono stati i miei "incontri" con il Cardinale SILVANO PIOVANELLI, ad essi spero presto di riuscire a sviluppare e dedicare uno spazio a parte. Oggi però, dopo l'ultimo saluto terreno di ieri, con la recente memoria di queste ultime settimane (GRAZIE carissimo Don Luigi!), riprendo questo suo commento alle letture dello scorso ottobre (proprio alla vigilia della mia partenza per il NEPAL) che per me diventa una specie di suo autentico testamento spirituale che sarà ben vivo e presente in me per tutto il resto della mia vita...
NAMASTE', mio "Grande Amico"... e GRAZIE per TUTTO!
Marco Banchelli


Come Bartimeo, grida anche tu!
(domenica 25 ottobre 2015)

Marco (10, 46-52)
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e molto folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”.
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”, E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
PAROLA DEL SIGNORE



L’episodio del mendicante cieco all’uscita da Gerico, così vivacemente descritto da Marco, è come percorso da un bisogno e un desiderio unico: poter vedere. Ma cos’è più importante vedere o udire? Istintivamente sentiamo più compassione davanti ai ciechi che ai sordi. Tanto gli occhi ci sembrano essenziali per la vita.
D’altra parte, la parola”vedere” è spesso usata nel doppio senso, fisico e morale, in conseguenza della “luce” che può essere esteriore e interiore. Dunque, il racconto ci riguarda. Il racconto può essere una metafora della vita. Di tanti di noi.
C’era molta folla. Bartimeo sente pronunciare il nome di Gesù o anche domanda alla gente chi c’è con tutte quelle persone, e, udito che c’era Gesù Nazareno, comincia a gridare: “Figlio di David, Gesù, abbia pietà di me!”. Con quel titolo, figlio di David (in tutti i tre sinottici: Mt 20,30; Lc 18,38), il cieco certamente intende un profeta o un taumaturgo, con in più questo: che Gesù, per via del padre putativo Giuseppe, era realmente della tribù di Giuda e della stirpe di David re (Mt 1,1-16).
Evidentemente, chi ha scritto il Vangelo e chi lo ascolta, arricchisce il titolo del valore messianico.
La gente chiacchiera di Gesù, Bartimeo lo chiama. Molti sgridano questo mendicante per farlo tacere e lui grida ancora più forte. Esce allo scoperto e col suo grido richiama l’attenzione di Gesù.

Qualche volta c’è bisogno di tirarsi fuori dalla folla e superare parole o atteggiamenti che scoraggiano la fede. Qualche volta c’è bisogno di gridare la nostra fiducia nonostante tutto, perché Gesù si fermi dinanzi al nostro bisogno. Il grido è un’invocazione di tutto il nostro essere verso Colui che può farci vedere e camminare.

E Gesù si ferma e dice: “Chiamatelo!”. Noi, uomini di Chiesa, dovremmo essere portatori e interpreti del comando di Gesù [ Chiamatelo! Chiamateli tutti! ]. Invece, siamo pronti e preparati, sì, ad accogliere chi viene, ma di fronte a molti, più che di trasmettere l’invito, sembriamo preoccupati di creare barriere protettive, controllare i documenti, fissare le modalità dell’incontro, stabilire i momenti e le precedenze. Il grido travolge le domande “rituali”, per le quali siamo sufficientemente preparati , e fa saltare le risposte prefabbricate. Aiutaci, Signore, a comprendere il grido, anche il grido silenzioso, che sale dal cuore di tante creature provate dalla vita.

“Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Quel mantello che copre e nasconde e che Bartimeo getta via, non può essere il simbolo di quanto avvolge la nostra vita, coprendo tante realtà che impediscono la fedeltà al Vangelo? Retaggi familiari, abitudini inveterate, ignoranza, disattenzione, superficialità, paure, eccetera. Dunque, come Bartimeo, gettare via il mantello delle protezioni umane, delle sottomissioni all’ambiente e delle ricerche egoistiche, per stare in piedi e liberi come discepoli di Gesù e figli del Padre che è nei cieli. Nella liturgia, oggi, risuona per ognuno di noi la parola della Chiesa: Coraggio! Àlzati, ti chiama!

La domanda di Gesù, quasi scontata per il cieco Bartimeo, è importantissima per noi: “Cosa vuoi che io ti faccia? “. Può darsi spesso che noi assomigliamo a Giacomo e Giovanni - ricordi Domenica scorsa? - che chiedono a Gesù un posto di gloria: “sedere uno alla destra e uno alla sinistra” del Messia vittorioso e trionfatore. Corriamo tutti il rischio di guardare la nostra vita e la storia con il paraocchi e quindi accorgerci solo delle cose immediate, di quelle che ci riguardano personalmente, e forse solo dei bisogni e necessità materiali.
La risposta del cieco è immediata: “Rabbuni, che io riabbia la vista! “. E Bartimeo non solo riacquista la vista fisica, ma anche la vista interiore e spirituale e “ritrovare la fede è più che ritrovare la vista” – come è scritto nel monumento che raffigura un cieco a Lourdes, vicino alla basilica. Bartimeo diventò discepolo, se Gesù gli disse: “ Va’, la tua fede ti ha salvato” e lui, subito, riacquistata la vista, prese a seguirlo per la strada.

Anche noi abbiamo bisogno di questo incontro con Gesù, perché il processo di liberazione non è mai finito: i mantelli non finiremo mai di buttarli via!  Senza la fede non balzi in piedi e non vai da Gesù.

Con la fede ti liberi, lasciando che il passato sia passato, consegnando a Cristo i tuoi limiti e le tue debolezze, e ti metti a seguirlo per la strada: non chissà mai quale strada, ma la strada concreta e attuale della tua vita, guidando i tuoi passi sulle orme che Gesù ha lasciato per tutti.

Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi.
O Dio, luce ai ciechi e gioia ai tribolati,
che nel tuo Figlio unigenito ci hai dato il sacerdote giusto a compassionevole
verso coloro che gemono nell’afflizione e nel pianto,
ascolta il grido della nostra preghiera:
fa’ che tutti gli uomini riconoscano in Lui la tenerezza del tuo amore di Padre
e si mettano in cammino verso di Te.




- Da queste parole riflessioni il mio intervento all'incontro tra religioni del 10 novembre 2015 a Kathmandu...








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