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Marco Banchelli visto da Alessandra Bruscagli


 MARCO  BANCHELLI
                               Per te, sulle montagne del Nepal è il segreto del calice: Namasté (*)



Marco è nato nel ‘56 a Sesto dove i genitori Augusto Banchelli e Guidetta Antimi  gestivano un negozio di mobili e dove fin da giovanissimo si è impegnato nella diffusione della  cultura di non violenza nello sport e nella vita.  Oltre ad allenatore e preparatore atletico diviene soprattutto un grande sperimentatore di  una preparazione completa del corpo e della mente. 


E’ stato definito dalla stampa italiana e internazionale  con numerosi appellativi:  messaggero di pace,  gigante buono,  ciclista silenzioso, pedalatore solitario, cavaliere dei nostri tempi, Coppi della pace e, vista la sua predilezione verso i bambini, fu anche scelto dall’Unicef  quale suo messaggero.  A chi  gli chiede com’è nata questa amicizia con l’Unicef,  Marco racconta questo episodio:  “Dopo una straordinaria tappa in Cile, arrivai a Valparaiso sull’Oceano Pacifico. Era una domenica mattina di Gennaio e mi imbattei in tanta e tanta gente che  giocava con i bambini per le strade  e nelle piazze. Incuriosito chiesi cosa stessero  festeggiando, quale fosse il motivo di tanta animazione. 
Non poco stupiti mi risposero:  - Quale festa? Non c’è nessuna festa, è solo una normalissima domenica come tutte le domeniche. Dedichiamo questa giornata ai nostri bambini per dimostrare il nostro affetto e dar loro l’importanza che meritano. – In quel momento mi sono stupito io, e anche un po’ vergognato  di non appartenere ad un popolo così naturalmente sensibile verso sé stesso... Da allora ho avvertito ancora più forte il bisogno, il dovere, di fare qualcosa per tutti i bambini. Senza straordinarietà. Magari iniziando proprio dalle scuole dove allora lavoravo come  maestro di sport.” 
Ed il grande zaino che Marco portava sulle spalle ha cominciato a contenere messaggi, disegni  e  poesie che i bambini del mondo si scambiavano grazie alle sue pedalate umanitarie. 


Negli ultimi anni, dopo l’incontro  e le collaborazioni con i “fratelli maggiori”, Patrizio Roversi e Syusy Blady  (Turisti-Velisti) Marco ha dato vita al gruppo “CICLISTIperCASO” che guida e segue dalle pagine del suo sito (www.marcobanchelli.com) .  Nel dicembre 2005 entra nel mondo del calcio: con il motto  “Sport in Peace” è tra i fondatori  del  Viola Club Kathmandu,  il più alto del mondo,  soprattutto per  i suoi “valori”.

Io avevo sentito parlare delle sue imprese ma non l’ho conosciuto personalmente fino al ’93 quando nel Parco Comunale di Rosignano Solvay, in provincia di Livorno,  al Circolo Bocciofilo avevano organizzato una serata tutta per lui, dove avrebbe proiettato le immagini raccolte durante i suoi viaggi e avrebbe parlato delle sue “avventure” con  un entusiasmo coinvolgente . Mi trovavo a Rosignano e approfittai per partecipare all’incontro e chiedergli una intervista della quale vi propongo alcuni stralci.         
    
Marco e gli Annapurna, verso il Pisang...
La complicità della notte, il profumo del mare di fine estate, una gran folla di persone, vacanzieri e rosignanesi, quella sera  accompagnarono Marco Banchelli  sull’ Himalaya al Pisang Peak fino ai 5656 metri di quota,  e vissero insieme a lui la magia delle valli, le atmosfere, le luci, la spiritualità di quei popoli, scoprendo i piccoli banchi degli artigiani, le risaie terrazzate sulla montagna, la fatica della salita, la sofferenza dell’atleta, in una sintesi collettiva di emozioni  forti. A fine serata chiesi a Marco cosa rappresentasse per lui  Rosignano, un luogo dove i suoi genitori avevano una casa e dove lui andava spesso. “E’ stato il mio primo Nepal.  Rosignano fu la meta del mio primo viaggio, avevo tre anni allora, e anche adesso quando ci  vengo e soprattutto quando me ne devo andare provo delle sensazioni particolarissime. Credimi, Rosignano e Sesto Fiorentino  sono stati molto importanti per me, mi hanno dato tanto. Sono  i solchi più profondi quelli dell’infanzia, dell’adolescenza, della prima giovinezza. Sono quelli che ti formano, che ti creano. Sono importanti i genitori, gli insegnanti di scuola e di strada, i luoghi e io mi sento di dover  ringraziare proprio tutti: luoghi e persone…

Ed è ancora il primo Nepal? “Certamente, anche questo pomeriggio ho fatto il mio giro in bicicletta da Marittimo, Casale, Nibbiaia e sempre avverto la stessa emozione, lo stesso intenso struggimento”.        
   

Quando sei solo con la tua bicicletta in un Paese straniero, lontanissimo dalla tua casa, dalla tua gente non provi paura o un senso di solitudine? “Paura no, mai. E parlando di solitudine mi viene adesso in mente la Pampa quando l’attraversai  verso le Ande. Non vorrei fare un discorso filosofico ma ci si può sentire  soli anche tra la folla della Quinta Strada di New York come anche qui tra tutta questa gente. Io sono un istintivo, mi piace conoscere i popoli, i loro costumi, i loro riti, le religioni. C’è chi dice che il mio viaggiare sia meditazione, preghiera,  e forse ha ragione; io penso che sia anche e soprattutto ricerca. Viaggiando scopro sempre qualcosa  di me stesso che nel quotidiano troverebbe con più difficoltà la forza di emergere a livello cosciente”. 

Sembri  felice della tua vita, dei tuoi viaggi, dei tuoi progetti: “Ti apparirà strano quello che ti dico, ma a me piacerebbe morire felice.  Ho avuto l’opportunità di fare nella vita anche molto di più di quanto immaginassi possibile, di poter liberamente scegliere.  Credo che la felicità sia soprattutto cercare di essere più possibile in bilancio positivo  con sé stessi in ogni momento della vita, ricercando senza stancarsi  serenità  e pace. Cercando di non danneggiare il  nostro prossimo e di essere sempre pronti ad affrontare quel momento, quello dell’ultima tappa”.

Da quella sera sul mare sono passati quasi vent’anni e Marco Banchelli ha attraversato  l’Australia e la Tasmania, ha raggiunto l’Everest, Gerusalemme ed i campi profughi del Popolo Saharawi. Ha perfino  conquistato e pedalato sul lago più alto del mondo!  
con la sua piccola Claudia
a Bhaktapur in Nepal
Ha poi partecipato a numerosissime e prestigiose trasmissioni televisive, anima di “Bicincittà” e del “Premio Mauro Collini – alla lealtà nello sport e nella vita”; è stato nominato Console Onorario dello Sport, Ambasciatore di Pace di Firenze  e del Kathmandu Guest House ed è divenuto “testimonial” ed uno dei più grandi conoscitori del “suo” Nepal. 
Tuttavia il dono più bello l’ha avuto da Maria Teresa che sedici anni fa, quando lui non se lo aspettava più un dono così grande,  l’ha reso padre di una splendida bambina  Claudia che ora è una bella giovinetta che studia, gioca a softball, va in bicicletta e che Marco ama definire come  “il viaggio più bello della mia vita”.

E pedalo, pedalo tanto ancora. E’ più facile continuare, che smettere! Adesso con  meno imprese, certo, ma con più significati. Quando ero un ragazzo i miei non mi comprarono il motorino e così mi ritrovai sulla bicicletta, ma la cosa bella è stata riscoprire nella bicicletta uno strumento  per pensare… Un’azione che sembra quasi spaventare, oggi. Il mondo avrebbe bisogno di trovare la sua bicicletta, di riscoprire la bellezza, le priorità della vita: ora c’è tanta confusione. Non si sa parlare perché non si sa ascoltare, non si comunica più. E dire che siamo nell’era della comunicazione!  Ed in fondo basta così poco per aiutare… C’è troppo spreco nel mondo e non occorrerebbero miracoli, a volte basterebbe fare le  piccole cose. Ma farle. 
Adesso, insieme alla band molisana “Noflaizon” sto lavorando a “Un piano per l’Himalaya”, un progetto “open” dove anche la musica ha un ruolo fondamentale. Come  Padre Pius e la Missione Cattolica del Nepal. Grazie ad un amico ciclista di Venezia, è stata costruita una piastra poli-sportiva  presso il Centro Pastorale di Godavari e perfino un piccolo allevamento di conigli per le ragazze della Casa della Compassione! Insomma: musica e sport come mezzi di sviluppo e di avvicinamento tra popoli”.
Un po’ come la sua bicicletta…

Per  Marco Banchelli la bicicletta non è solo un mezzo meccanico, non lo è mai stato. Gli ha consentito di conoscere tanti Paesi  e gente con culture diverse.  Conoscenze che hanno forgiato in lui una spiritualità particolarmente incline al contatto umano e alla solidarietà. “Mi piacerebbe trasmettere questi valori di vita specialmente ai ragazzi, ai giovani e cerco di farlo ogni volta che ne ho la possibilità. Mi sembra il modo migliore per meritare quel titolo di messaggero di  Pace nel mondo che mi hanno dato…


 (*) namasté - saluto della gente dell’Himalaya, significa: 
                     mi inchino al divino che è in te



tratto da:
SESTO FIORENTINO
Piccole storie per un grande paese
Famiglie, persone, personaggi
Edizioni Medicea - Firenze


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