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Marco, quello della bicicletta... di Iuri Lombardi

Marco, quello della bicicletta

Non è del tutto fuori luogo considerare l’esperienza umana 
e l’avventura ciclistica di Marco Banchelli simile a quella narrata da una nota canzone dei New Trols. In entrambi i casi, la bicicletta recita da protagonista. Se, infatti, nella canzone la bicicletta serviva ad Irish per arrivare a Dio, a Marco Banchelli, noto per i suoi numerosi viaggi, le due ruote servono da sempre per scoprire il mondo, per interloquire con esso. Un mezzo che da più di vent’anni gli consente di scoprire una nuova realtà,  di approdare in mondi diversi, dove l’unica cosa che li rende uguali sono gli uomini. Scoperte, avventure, viaggi sono il frutto di una vera e propria professione, di un'esperienza umana che lo vedono ciclista per caso. La storia, come ogni leggenda che si rispetti sembra avere un prologo romantico, inizia nell’ormai lontano 1984, quando Banchelli si trova a New York in vacanza. E’ nella metropoli statunitense che Marco approfondisce il suo rapporto con le due ruote, un amore presente in lui sin dal tempo dell’infanzia. “A New York – come tiene a rilevare – gran parte dei cittadini inforcavano la bicicletta per andare a lavoro, così, prendendo da loro esempio, ho deciso che questo mezzo doveva diventare parte di me, della mia vita, dei miei giorni: fu una folgorazione. Da allora non l’ho più abbandonata”. Dal 1984 Marco ha mutato la propria rotta, ha cominciato a viaggiare per ogni dove visitando i luoghi più remoti del nostro pianeta; a cominciare dalle Ande, dall’America del nord alla Tasmania, sino ai deserti dell’Australia per trovare, in fine, il suo posto ideale: il Nepal. 
Nel 1998, dallo splendore delle montagne dell’Himalaya, Banchelli sembra farci vivere la sua avventura tramite una trasmissione da lui stesso condotta assieme a Patrizio Roversi e Susy Blady: “Turisti per Caso”, nella quale spicca per la sincera passione e sensibilità nei confronti dei paesaggi e degli uomini. E’ in quest'occasione che approfondisce la conoscenza di questa terra, visita villaggi e città come Lalitpur, che alimenta in lui quel senso di misticismo e infatuazione per il creato, tanto da farsi punti di riferimento, conoscenze, amicizie. Un viaggio che, secondo i suoi progetti, dovrebbe ripetere in primavera, reduce da una nuova trasmissione che lo vede di nuovo protagonista. Uno spettacolo che condurrà per TVR Teleitalia, visibile non solo per televisione, nelle diverse fasce orarie, ma anche tramite ADSL, tanto da essere visto sin da oltre oceano. Avventura televisiva che inizierà intorno alla metà di novembre per nove puntate, una per settimana, fino a febbraio. Un progetto che cerca di coinvolgere la gente comune, personaggi noti, paesaggi, strade, luoghi quotidiani.

“Sì perché – afferma – ogni posto ha una proprie essenza, 
una storia, e solo l’uomo può valorizzarla”.

Marco, ci potresti raccontare i tuoi progetti futuri? 

E’ vero che presto tornerai in Nepal?
“Sì, il giro continua, la prossima tappa altro non è che il proseguimento della scorsa. In ogni momento della mia giornata cerco d’essere in viaggio. Per me ciò che è importante è l’essenza del viaggio, guardarmi attorno, progettare in base alle avventure presenti la prossima tappa. Immaginando la destinazione lontana, farò ad aprile prossimo ritorno in Nepal. In fondo sono sempre pronto per partire, in ogni momento. In futuro poi prevedo la nuova trasmissione di “Ciclisti per Caso”, che sarà il tentativo di trasmettere la mia esperienza alla gente. Un progetto che ho in mente da anni e che in parte si è realizzato nel 1998. Si tratta di nove puntate dove si affrontano incontri vari, viaggi, scoperte anche dei luoghi comuni”.

Ho la sensazione che per te il viaggio non sia solo una scoperta sociologica, paesaggistica, ma soprattutto un modo per scoprire te stesso
una ricerca intima, quasi mistica, o sbaglio?
“Parto sempre dal presupposto che nella vita non si arriva mai e questa domanda mi sconvolge, perché centra in pieno la chiave di lettura della mia attività sportiva. Ogni luogo, sia esso Argentina o Australia, diventa per me una ricerca interiore, occasione per scoprirmi uomo, persona. Tutti i più grandi viaggiatori della storia, se si presta attenzione, hanno fatto dei loro viaggi una personale lettura. Tutto sommato il viaggio serve proprio per descrivere, per far chiarezza, per progredire. L’attività di turista per caso è, quindi, proprio questa: cercare nel viaggio l’essenza della vita”.

In questi giorni un ragazzo della tua scuola sta facendo un'escursione

in Nepal  e da ciò che risulta quotidianamente scrive una sorta di diario, 
stando a questo si può affermare che parallelamente all’attività ciclistica si sviluppa anche quella letteraria? In altri termini, è vero che molto spesso il viaggiatore si trova a scrivere memorie e racconti su ciò che ha vissuto?
“Sì, è vero. Purtroppo io personalmente non ho avuto il dono della scrittura, ma spesso nel viaggiare si nutre il forte desiderio di scrivere. Alessandro, originario dell’isola del Giglio, per questioni d’età sente l’esigenza di scrivere la propria avventura. In fondo, se ci si pensa, ogni settore lavorativo ha una propria letteratura. Non ti so dire se questo può essere considerato un vero filone, ma sta di fatto che per me questo tipo di letteratura, non necessariamente scritta, è da tempo iniziata. La scrittura è, infatti, uno strumento democratico, comune a tutti. Ora non necessariamente un ciclista per caso trasmette il proprio vissuto scrivendo. Partendo da questo presupposto tutti sono viaggiatori e la scrittura è certamente un modo d’essere presente nella vita, uno strumento
 di comunicazione sincero”.

Per te, quindi, il viaggio rappresenta la metafora del tuo vivere?
“Nel mio caso è lo strumento che accompagna la mia vita, i miei rapporti con essa. 
Vuole essere, ed è in qualche modo, una disciplina, in senso profondo del termine, che mi permette di condividere la strada con altri, non necessariamente ciclisti. Insomma, rappresenta un modo d’esserci”.


                               

Quando tu parti per un'escursione, quando parti da Firenze 

per andare lontano, come organizzi la tua partenza? 
Voglio dire, come nasce il progetto?
“Ci sono diverse fasi: c’è una d'inizio e di sviluppo. Se nei primi anni c’era il desiderio di partire, di vedere posti nuovi, magari dormendo anche sotto i tavoli, oggi ho una consapevolezza diversa, e quindi un diverso modo di affrontare la nuova avventura. Nei primi viaggi ho imparato a convivere con la solitudine, con questo sentimento umano. Fondamentalmente un viaggiatore è sempre solo, sin dall’inizio dell’escursione. Il viaggio t'insegna ad essere solo, una solitudine che non necessariamente riscontri in luoghi ameni, ma in ogni dove. Ad esempio rimasi sconvolto a New York, nella quinta strada, uno dei posti più affollati, dove mi sentivo ugualmente solo, anzi più solo là che magari sull’Himalaya. Insomma, oggi parto con una consapevolezza diversa, col presupposto, grazie anche a “Ciclisti per caso”, di condividere l’esperienza con l’altro, di pensare l’avventura in collettivo. Nello stesso tempo è mutata in me la paura, ad esempio. Anche questo sentimento oramai non dico che sia in me esorcizzato, perché ovviamente rimane, però è diverso, è meno pronunciato, violento. Anche perché penso che spaventi meno un paesaggio vuoto, un baratro, una notte stellata che la folla. In Himalaya, in quelle lande immense, il colpo lo senti in pieno, però dopo un po’ ci fai l’abitudine, mentre la folla opprime, ti ruba qualcosa dentro, ti fa sentire una solitudine e una paura profonda”.

Prima di iniziare a svolgere questa professione facevi un altro tipo di vita, 
potresti raccontare com'è avvenuto il cambiamento?
“Mah, per tanti anni ho avuto una palestra, sono sempre stato nell’ambito sportivo: ho fatto il bagnino, ho dato lezione di tennis. Tutto sommato, credo che questo rapporto sia legato ad un episodio adolescenziale, non avendo il motorino sin da ragazzo mi sono sempre smosso in bicicletta, perciò nelle varie tappe della mia vita le due ruote sono sempre state presenti. Quindi il cambiamento c’è stato e non, nel senso che ho, almeno credo, radicalizzato questa passione al punto di farla diventare 
un vero e proprio lavoro, una ricerca di stile”.

Possiamo allora dire che la bicicletta è stato il tuo motivo di riscatto…
“Forse si. Anche perché l’ho sofferta sin da ragazzo, in rapporto anche con l’altro sesso. 
In ogni caso, devo ringraziare i miei genitori che non mi hanno mai comperato il motorino perché, anche nei momenti in cui la maledicevo guardando gli altri col Ciclomotore, sono stati la mia fortuna…”

Per te essere stato ciclista da ragazzo ha incrementato la forza 

per non omologarti alla moda, di rompere un tabù culturale.
“Ha sicuramente rafforzato il mio messaggio nel mio rapporto con gli altri, 
ha forse posto un interrogativo civico dell’uso quotidiano. 
Insomma ha rappresentato un’occasione di crescita. 
Se vai in tutti i posti del mondo che ho visitato mi conoscono 
come Marco della bicicletta, come l’uomo del pedale”.

La bicicletta quindi ti ha scombinato il mazzo delle carte. 
Fuori di metafora, dopo la folgorazione dell’84, con le due ruote hai disordinato la tua vita per poi darle un ordine diverso… Insomma è stato come rivivere una seconda volta, ricominciare da capo.
“Ciò che dici non è per niente fuori luogo, perché vedi ognuno mette ordine nella vita in base alle proprie facoltà. Io ho fatto ordine, ho razionalizzato tramite questo veicolo. Ho trovato un proprio equilibrio esistenziale, che di continuo mi mette 
in discussione con me stesso, con il prossimo”.


Quindi hai fatto del ciclismo una sorta di credo, di disciplina religiosa?
“Sì. Una volta mi permisi di dire al Cardinale Piovanelli, ricordando un sentiero dell’Himalaya, che in diversi momenti ho avuto la sensazione di portare la bicicletta 
sulle spalle come fosse una croce. Lui mi abbracciò e mi sorrise, come se approvasse ciò che stavo dicendogli… 
Fu un'approvazione sincera. 
Se bene si pensa la vita è sempre una prova continua, 
un viaggio in cui non si arriva mai, 
un mettersi in gioco continuo con sincera passione”.

Un’attitudine che non è solo sportiva ma civile. 

Un viaggio continuo verso il mondo, 
il pianeta, la società, che lo vede ambasciatore di Firenze in Nepal. 
Insomma, una disciplina fisica e mentale che gli dona equilibrio e, forse, 
parafrasando con ironia la canzone dei New Trols, 
come Irish lo accompagna ad osservare la bellezza del creato.

Iuri Lombardi 





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